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Figli e figlie che dicono di NO!

Quante volte da genitori sarebbe più “facile”, o forse meno dispendioso a livello energetico, avere a che fare con figlie e figli ubbidienti? 

“Lava i denti.”

“Va bene”

“Riordina la stanza”

“Certo”

“Metti le ciabatte”

“Subito”

Subito. Perché certo a volte, forse, non solo vorremmo l’obbedienza, ma la vorremmo anche subito e la vorremmo esercitata in maniera assolutamente aderente al nostro modo di immaginare la risposta alla nostra richiesta. 

E, se proprio dobbiamo dirla tutta, qualche volta forse abbiamo desiderato che l’obbedienza fosse priva di richieste che ci costringessero a spiegare, insomma un po’ acritica. 

Come dire: “Fai quello che dico io e lo fai sempre e subito e come lo dico io perché lo dico io” o, come si dice? “Mio il castello, mie le regole.” Punto. 

Mi sembra già di sentire l’utopico rumore di ciabatte e spazzolini in movimento. Nel quieto silenzio obbediente. 

Se tutto funziona bene in una famiglia i momenti di questo tipo sono circa un paio nell’arco di una vita. Esagero. Ironizzo. Ma anche conto passando in rassegna mentale racconti e racconti. 

In una famiglia sufficientemente umana ci sarà più verosimilmente lo spazio per potersi permettere di dire “No”, “Perché devo farlo solo perché lo decidi tu?”, “Non ho voglia adesso”, “Non lo farò mai e poi mai” oppure, mentre camminano scalzi e scalze: “Ma sì che ho su le ciabatte”. 

No. È una delle parole più importanti della nostra vita. Lo è esattamente come il sì. 

Il no e il sì sono le due polarità che ci identificano in molte situazioni e che rendono spesso le nostre vite un determinato susseguirsi di esperienze piuttosto che di altre. 

No è stata spesso la parola che ha innescato cambiamenti epocali.

Il No di Franca Viola al matrimonio riparatore, il No di Rosa Parks sull’autobus, i No che hanno innescato rivoluzioni sociali a qualsiasi livello. Il No all’oppressione e il No alla violenza. Il no a dittature e totalitarismi. Il No allo sfruttamento indiscriminato di risorse umane e naturali. 

Il mondo ha bisogno di persone in grado di dire No. Persone che non aderiscano in maniera acritica allo status quo ma incarnino il diritto all’autodeterminazione. 

A dire No si impara (anche) in casa. 

Un bambino o una bambina che dice “No”, innanzitutto è sufficientemente sicuro o sicura di potersi permettere di dirlo senza conseguenze troppo intollerabili: non vive nella paura. 

Inoltre quel bambino o bambina sta sperimentando questa funzione essenziale. Sta mettendo alla prova i limiti e la propria sensazione di autoefficacia. Sta provando ad autodeterminarsi. 

Sta assolvendo ad un compito importante di ogni essere umano e,come per tutti gli altri compiti, lo fa al sicuro dei propri ambienti protetti. 

E quindi? Va bene tutto? Niente regole e limiti? 

No. Certo che no. (Quanti No in queste righe!)

Se un bambino o bambina cerca di misurare i limiti della propria libertà ha bisogno di trovarne di limiti, altrimenti non farà un’esperienza completa e senza limiti non potrà sperimentare nemmeno una autentica libertà. E ancora: senza aver sperimentato all’infinito il suo rapporto con i limiti durante tutta la sua infanzia non sarà facile capire quando e come superare quei limiti nel caso si rendesse necessario e indispensabile. 

E allora il compito dei genitori lo vedo proprio come il sostare in quel campo così impervio che sta tra i limiti che proteggono e contengono e la libertà e il diritto alla disobbedienza che rende sicuri di sé. Il compito tanto creativo è quello di facilitare lo sviluppo di adulti in grado di ponderare un sì o un no attraverso la fiducia in sé, al netto di posizioni rigide dettate da pregiudizi, nutrito di conoscenza, autoconsapevolezza e senso di appartenenza e non da mero desiderio oppositivo e impulsività. 

E quanto è difficile stare in questo continuo fluire tra sì e no, tra limiti e aperture, tra frustrazione e tolleranza, tra sintonia e conflitto. Senza nessuna nessuna nessuna garanzia di fare la mitica “cosa giusta”. Nessuna garanzia. Nessuna “cosa giusta” a priori. 

Non un compito facile, soprattutto perché richiede a noi di confrontarci con la nostra competenza a pronunciare dei sì e dei no e ad incarnare la nostra autodeterminazione. Tutto questo a sua volta affonda le radici nel nostro essere stati figli. Insomma quanta complessità. 

La vita. 

Di certo però queste riflessioni mi restituiscono l’importanza del ruolo di ogni genitore e di ogni famiglia che ogni giorno negli scambi quotidiani esercita un’azione fondamentalmente sociale e politica. 

Che spaventosa meraviglia.

 

P.s. Sulle ciabatte...lasciate ogni speranza.

 

Valentina Liuzzi