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Tu pensi troppo.

“Tu pensi troppo” . 

“Ma vai a quel paese”.*

 

C’è una frase, piccola piccola, di una canzone dei giorni d’oggi, cantata da un pezzo del nostro futuro che dice così:

 

“Penso più veloce per capire se domani tu mi fregherai.”

 

Punto. 

Queste dieci parole riassumono in modo limpido qualcosa che molte (molte, molte, molte) persone conoscono bene. 

Quell’abitudine, anzi meglio, quella necessità, sin da bambine e bambini a dover osservare, controllare, studiare il comportamento delle proprie figure di riferimento per potersi comportare di conseguenza. 

Per non ferire, per non entrare in conflitto, per non essere ignorati, per difendersi, per non doversi occupare di. 

E allora dopo aver ascoltato, osservato, studiato, si inizia a pensare pensare pensare pensare pensare, molto, molto in fretta, pensare, penso, pensa pensa pensa cavolo pensa!

Cosa devi fare adesso? Cosa è meglio che tu faccia per lui, per lei, per salvare te? 

Pensa per anticipare il dolore, per evitare la sofferenza: il disamore. 

Pensa. 

Pensa più veloce. Per capire se domani tu mi fregherai. In mille subdoli, violenti, più o meno consapevoli, modi. 

 

Controllo, centratura sull’altro e iperproduzione di pensieri. 

 

Anni trascorsi a pensare così velocemente, in una società che poi ci frega richiedendoci di pensare velocemente. E sembra quasi che vada bene così. 

 

Ma a quella massa più o meno ordinata di pensieri velocissimi (che forse a volte ha salvato qualcuno) si può provare a concedere un ritmo diverso. Ci si può prendere cura di quei pensieri, ringraziandoli del loro servizio prezioso. 

E occuparsi di creare le condizioni che che consentano di rallentare. Di non aver più bisogno di pensare più velocemente. Di non avere più paura.

 

Un lavoro. Un travaglio. 

Ma si può. 

 

Valentina Liuzzi

 

*edulcorato (molto).

 

 

La canzone è “Soldi” di Mahmood